Samovar: tutto quello che volevate sapere sull’iconico bollitore presunto russo

Samovar Fabergé, in argento

Il simbolo presunto russo del tè


Il samovar non l’hanno inventato i russi (ouch!) e non è una teiera (ma dai?!). Eppure – per dirla con Dostoevskij:

…il samovàr è la cosa russa più indispensabile in tutte le catastrofi e disgrazie, specie in quelle orribili, improvvise e straordinarie.

F.M. Dostoevskij, L’adolescente

Scopriamo, allora, questa leggendaria macchina da tè il cui nome in russo significa “bolle da sé”.

Cosa c’è nel nome

Sanabar, samuwar, samovar, samogrej… insomma, quello che bolle da solo. Vi sono varie opinioni sull’origine della parola samovar. C’è chi sostiene che derivi dal turco sanabar che significa “bollitore, calderone”, mentre altri ne attribuiscono la discendenza dal tartaro samuwar che significa “bolle da solo”.

Nella stessa Russia il suo nome nei primi tempi variava di città in città: a Kursk lo chiamavano samokipec, a Jaroslavl’ samogar, a Kirov (ex Vjatka) samogrej. In ogni caso, ha sempre a che fare con l’acqua che si scalda e bolle da sola.

La pronuncia: dove va l’accento su samovar?

La parola si pronuncia samavAr, proprio come potete sentire qui:

La cerimonia del tè in Russia

Il samovar non è una teiera

Per capire come funziona il tè alla russa vi invito a leggere questo splendido brano tratto da La vita privata degli oggetti sovietici di Gian Piero Piretto:

Esordiamo con una doverosa precisazione. Il samovar non è una teiera. Il tè non lo tocca neppure di striscio. Serve esclusivamente a portare a ebollizione, e mantenere ad alta temperatura, l’acqua che si userà per preparare la bevanda. /…/ Secondo l’uso russo, con l’acqua del samovar si prepara nella teiera una miscela molto forte di tè (zavarka), se ne versa una certa quantità nella tazza (o nel bicchiere) e la si allunga spillando ulteriore acqua calda, poca o molta a seconda dei gusti. Per mantenere calda la teiera che contiene l’infusione concentrata la si può collocare sulla corona del samovar, in modo che il vapore che fuoriesce dagli appositi fori la mantenga ad alta temperatura.

G.P. Piretto, La vita privata degli oggetti sovietici: 25 storie da un altro mondo (2012)

Il samovar non è un’invenzione russa

Molti credono che la leggendaria macchina da tè sia un’invenzione russa. Leggendo varie fonti di informazione, ho notato che l’idea del genio russo è sostenuta soprattutto dai siti ufficiali quali Kultura RF, portale culturale della federazione russa; i blog, per fortuna, godono di una maggiore libertà di pensiero. In quest’articolo ho preferito comunque basarmi sulle fonti non russe.

Gli autori Glenn Randall Mack e Asele Surina di Food culture in Russia and Central Asia (2005) riassumono le varie teorie dell’origine di samovar in tre ipotesi:

  1. È un adattamento della pentola mongola, hot pot, che veniva utilizzata per preparare le zuppe; i russi hanno semplicemente chiuso la ciotola per formare un grande recipiente per contenere acqua bollente e hanno aggiunto un beccuccio sul fondo per erogare l’acqua calda.
  2. È stato portato da Pietro il Grande dall’Olanda. Tra l’altro, la fonderia di Tula, la città famosa per la produzione di samovar (180 km a sud di Mosca) fu costruita proprio dagli olandesi nel 1632.
  3. È arrivato con la Chiesa greca di Bisanzio, che sin dal X secolo ha esercitato un’enorme influenza sulla cultura russa, dalla religione all’arte e all’ambito amministrativo.
Mongolian hot pot
Mongolian hot pot
Samovar olandese, XVIII secolo
Samovar olandese, XVIII secolo
Authepsa ellenico
Authepsa ellenico (Wikipedia commons)

E se davvero le radici dell’orgoglio nazionale russo siano da cercarsi più nell’antica Grecia che nella Russia di Pietro il Grande? Pensate: migliaia d’anni di storia contro gli appena 300! Alcuni storici sostengono infatti che il bisnonno del samovar era un recipiente ellenico chiamato authepsa (scritto anche autepsa), un nome greco (αὐθέψης) che, guarda caso, si traduce “bolle / cuoce da solo”:

Io mi sono sempre meravigliato della forma artistica di tipo greco che aveva il russo samovar. L’uso di questa elegante macchina per bollir l’acqua da thè è tuttavia così generale in Russia, e la parola samovar è così prettamente russa, come quella che significa quello che cuoce da se stesso, che sarebbe parsa una eresia il dire ad un Russo che la loro macchina nazionale con la parola stessa che la rappresenta era passata in Russia dalla Grecia. Ma mi è tornato il coraggio di ripetere che il samovar è di origine ellenica, dopo che appresi come in questi ultimi anni siasi scoperta a Pompei una macchina somigliantissima per la sua forma al russo samovar, e di più che si dava il nome di autepsa (quella che cuoce da sé) ad una macchina greca per bollir l’acqua.

Nuova antologia di scienze, lettere ed arti (Firenze 1878)
Boris Kustodiev, Moglie del mercante durante il teatime. Wikipedia Commons.

Secondo la food writer autrice di In punta di forchetta Bee Wilson, il ricco repertorio di sofisticati attrezzi di cucina di cui disponevano gli antichi Romani nulla aveva da invidiare agli strumenti dei nostri tempi (eccetto le padelle multistrato):

I romani avevano anche splendidi colatoi di metallo e scaldavivande di bronzo, patinae metalliche piuttosto piatte, grossi calderoni di ottone e di bronzo, stampi per dolci dalle forme elaborate, bollitori per il pesce, nonché padelle dotati di manici pieghevoli e di beccucci per distribuire la salsa. Molti degli attrezzi rinvenuti appaiono di una modernità sconcertante. Questi oggetti stupirono lo chef Alexis Soyer ancora nel 1853, quando restò particolarmente colpito da un recipiente a due livelli detto authepsa (un nome molto futuristico che significa “che bolle da solo”). Come una vaporiera odierna, il contenitore presentava due strati fatti di ottone corinzio, e lo scomparto superiore, spiega Soyer, si poteva usare per cuocere delicatamente “prelibatezze leggere da consumare come dessert”. Si trattava di un utensile molto apprezzato: secondo Cicerone, un’authepsa fu venduta all’asta a un prezzo così esorbitante da indurre i presenti a credere che il lotto fosse addirittura una fattoria.
Dal punto di vista tecnologico, gli strumenti metallici ideati dai romani hanno avuto pochi rivali fino alla fine del ventesimo secolo, con l’avvento dei tegami fatti di metalli multistrato.

Bee Wilson, In punta di forchetta: storie di invenzione in cucina (Rizzoli, 2013)

Ma quindi il primo samovar russo?

Tre sono i luoghi che si contendono il titolo di patria del samovar russo:

01


Tula

la fabbrica dei fratelli Ivan e Nazar Lisicyn a Tula (nel 1778 registrano ufficialmente il loro stabilimento come manifattura di samovar)

02


Suksun

le officine di Demidov a Suksun, negli Urali (i primi cenni sulla fabbricazione di recipienti ad acqua calda risalgono al 1745)

03


Sverdlovsk

la fabbrica Irginsky nell’attuale regione di Sverdlovsk

Una curiosità a proposito della fabbrica Irginsky: un documento del 1740 trovato presso la dogana di Ekaterinburg, tra i beni sequestrati menziona “un samovar di rame, in scatola, pesante 16 libbre, produzione propria della fabbrica Irginskij”. Secondo quanto dicono gli storici, all’epoca, a lavorare in quella fabbrica erano perlopiù i vecchi credenti emigrati da Nižnij Novgorod e dalla regione di Penza. Ma per un vecchio credente il tè – insieme al tabacco e agli scacchi – era uno dei mali peggiori. Che cosa si preparava allora con l’acqua riscaldata in quel samovar sequestrato? Lo sbiten’, un’antichissima bevanda slava a base di miele ed erbe medicinali.

Sbitenčik e chodebščik

Sbitenčik, venditore di sbiten’ e chodebščik, contadino itinerante. Wikipedia Commons

Nel ‘600 lo sbiten’ era diffusissimo: veniva distribuito per le strade da venditori che si portavano dietro gli sbitennik, grandi bollitori di rame dove si preparava la bevanda.

Spodestato dal tè (che nel ‘800 è diventato la bevanda nazionale seconda solo alla vodka), oggi lo sbiten’ sta vivendo il suo revival. Su Instagram l’hashtag #сбитень conta circa 8000 post.

Le mille forme della macchina da tè

C’è da sbizzarrirsi. Samovar a forma di coppa, di uovo, di fontana, di palloncino, di vaso, di calice… Nella sola città di Tula, dicono, gli artigiani ne hanno inventati 150 tipi! Forse da qui il proverbio russo coniato da Anton Čechov che recita: “Portarsi dietro il proprio samovar a Tula”, equivalente al detto italiano “Portare acqua al mare”.

Al Museo del samovar a Tula

All’interno del Museo del samovar a Tula. Fonte: muzei-mira.com

Nel corso degli anni, per riconoscere il produttore le fabbriche hanno iniziano ad apporre sul coperchio un simbolo, una sorta di marchio d’impresa. Le prime creazioni erano in rame rosso e cupronichel. L’ottone, lega più economica, è arrivato più tardi. Sulla tavola dello zar, ovviamente, splendevano raffinatissimi samovar in argento e oro. Esiste anche qualche macchina da tè in ghisa, oggi rarità da collezionisti. A proposito, il costo del samovar era determinato in base al suo peso, cioè, più era pesante e più costava.

I samovar da record

il più grande, il più piccolo, il più costoso, il più bizzarro…

I più preziosi sono i capolavori in argento rifiniti in oro, creati all’inizio del ‘900 nelle botteghe di Carl Fabergé usando raffinate tecniche di lavorazione.

Il samovar più grande, in funzione tutt’oggi, si trova nella stazione ferroviaria della città ucraina di Charkiv. Alto 1,8 m, pesa più di 3 quintali e ha una capienza di 360 litri, ovvero quanto basta per offrire il tè a 10 mila persone. Una versione un po’ più modesta, da 250 litri è stata realizzata nel 1922 a Tula. L’acqua bolliva in 40 minuti e rimaneva calda per 2 giorni.

Per molti anni il record del samovarčik più piccolo apparteneva al microsamovar di Vasilij Vasjurenko, fabbro dell’Istituto di radiotecnica e elettronica dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica; alto 3,5 mm, poteva far bollire una sola goccia d’acqua. Poi è arrivato il nanosamovar dell’artigiano russo e maestro di microscultura Nikolaj Aldunin. Realizzato interamente in oro, ha 12 parti ed è alto 1,2 mm. Si scherza infatti che a crearlo è stato il mitico Mancino, protagonista dell’opera di Nikolaj Leskov, Il mancino: storia del fabbro mancino e strabico di Tula e della pulce d’acciaio (1881), che così poteva fare il tè alla sua pulce d’acciaio.

Il samovar dotato di due beccucci – uno per il tè e l’altro per il caffè – si aggiudicherebbe di sicuro il titolo della macchina da tè più diplomatica!

Presso il Museo dei Samovar di Tula si possono ammirare i bollitori più bizzarri, come ad esempio quello realizzato in zucchero.

A proposito di zucchero

Nella quotidianità russa, il rapporto tra tè e zucchero si declina in tre modi:

01


Pit’ čaj vnakladku

mettere lo zucchero direttamente nella tazza di tè

02


Pit’ čaj vprikusku

sorbire il tè trattenendo la zolletta tra i denti, alla fake Puškin**

03


Pit’ čaj vprigljadku

bere il tè senza zucchero ma con la zuccheriera a vista

** Per quanto alla stra-citata presunta tea quote di Puškin che recita “L’estasi è un bicchiere pieno di tè e una zolletta di zucchero in bocca”, molto probabilmente essa appartiene più alla tastiera di un millennial che alla penna del poeta ottocentesco 😉

I macabri “samovar” di Stalin

E comunque, la storia del samovar non è tutta oro e argento Fabergé… Nell’Unione Sovietica di Stalin, gli ex soldati rimasti mutilati venivano chiamati samovar per la macabra somiglianza che evocavano. Tra tutti i veterani di guerra, a loro era riservato il destino più crudele:

I soldati dell’Armata Rossa provavano un desiderio irresistibile di finire la guerra, ma più vicino erano alla vittoria, più forte era il desiderio di sopravvivere. /…/ Ma c’era una cosa che temevano ancora di più del restare uccisi negli ultimi giorni di guerra, dopo essere sopravvissuti a tante avversità. Era quella di perdere braccia e gambe. I reduci mutilati degli arti erano soprannominati “samovar” e venivano trattati come reietti. /…/ ben presto le autorità delle città principali decisero che le strade non potevano essere deturpate dalla presenza dei “samovar” senza gambe o braccia; così furono rastrellati e deportati. Molti finirono a Belaja Zemlja nell’estremo nord, come se fossero anch’essi detenuti dei Gulag.

Antony Beevor, Berlino 1945 (2011)

Per approfondimenti

Foto in copertina: Samovar d’argento di Fabergé

© RIPRODUZIONE RISERVATA. Per utilizzare i materiali di Prima Infusione è obbligatorio indicare il link attivo al pezzo originale. Se non è indicato diversamente, tutte le foto sono di proprietà ed uso esclusivo di Jurga Po Alessi | primainfusione.com.

2 Comments

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.