Nodira Narimova – Il tè mi è stato trasmesso con il latte materno (non è una metafora)

Nodira Narimova - Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog

Molto piacere, sono Nodira! – la nostra amicizia è nata anni fa sul soppalco-ufficio di Arte del Ricevere, in Via Macedonio Melloni 35 a Milano, tra le esotiche teiere della collezione privata di Francesca Natali e i robusti cataloghi dei fornitori ammassati sulle scrivanie. È da allora che stavo immaginando questa intervista; il blog di Prima Infusione non esisteva ancora e l’idea stessa di raccogliere le storie degli amanti del tè dormiva in un profondo letargo della mente. Eppure mi capitava di pensare spesso, sul treno di ritorno per Pavia, a quanto sarebbe bello raccontare le storie di Nodira e della sua incantata città, Samarcanda. Anche oggi, quando ne parla i suoi occhi si accendono di una luce più intensa.

Siamo tutti allievi. O come spesso dico alle mie ragazze di Dammann: siamo le concubine del Signor Tè.

Nodira
Nodira Narimova - foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog
Nodira durante un tea time estivo presso Vòce Aimo e Nadia a Milano.

365 tealovers: Nodira Narimova

Complimenti, che bel vestito!

Grazie! Seta e cottone, due tessuti che indosso molto volentieri e che fanno parte delle mie radici cui tengo molto. La stoffa di questo abito proviene da una piccola fabbrica artigianale in Uzbekistan che produce a mano tessuti di seta utilizzando solo colori naturali. Dalla corteccia dell’albero di noce, ad esempio, si ottiene il colore marrone, dalla cipolla il dorato, dalla barbabietola il bordeaux… Per gli artigiani uzbeki è importante preservare la naturalezza della seta. La produzione è destinata al mercato interno ma cominciano ad arrivare stilisti di fama internazionale che acquistano tessuti per le proprie collezioni.

La città di Samar

Raccontaci delle tue origini.

Sono cresciuta in una città a 20 km da Samarcanda. Quando avevo 19 anni, la nostra famiglia si è trasferita a Samarcanda, luogo natio dei miei genitori.

È un luogo antico e magico, lo senti nell’aria. Passeggiando per i vicoli poco battuti della città, vedi la vita delle persone svolgersi tra le basse mura delle case in argilla grezza. Alle 5 del mattino le vie si riempiono di profumo di pane. Si tratta di un pane bianco, pagnotte grosse e pesanti. È unico al mondo, ogni tentativo di rifarlo altrove è fallito – acqua e aria fanno la differenza.

Nodira
Il pane uzbeko.

Samarcanda è stata la capitale di Tamerlano, famoso condottiero e conquistatore vissuto a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Aveva scelto di stabilirsi qui perché la città era, anzi lo è tutt’oggi, un’oasi bellissima, con tanto di colline, rocce e l’aria sempre fresca, persino d’estate.

Cosa significa il suo nome?

Ci sono mille legende a riguardo. Una delle più diffuse narra di un re che si chiamava Samar, qand invece significa “cittadella”, dunque la cittadella di Samar. Alessandro Magno la chiamava Maracanda. Era passato per la città e aveva pure sposato una ragazza di nome Rokshana.

Dall’Uzbekistan con il… Gunpowder

Da quanto sei in Italia?

Dal 2008. Il 28 agosto ho festeggiato 11 anni brindando di certo non con il tè!

Le tue prime impressioni dell’Italia?

Era troppo strano non vedere le tea house, non avere luoghi dove bere una tazza di tè. E poi, il tè costava tantissimo, pur essendo in bustine di pessima qualità. Zero gioia, insomma. Telefonavo in lacrime a mia mamma chiedendole di mandarmi un po’ di Gunpowder che se no muoio.

Gunpowder..?

Sì! Ma un Gunpowder di altissima qualità che non diventa amaro neanche se lo prepari con acqua bollente. La mamma si è presa la premura di fornirmi le preziose scorte di tè: palline di Gunpowder sfuse, racchiuse in sacchettini trasparenti che venivano regolarmente bloccati in dogana, la quale ogni volta mi chiedeva, che cos’è ‘sta roba – e ogni volta mi toccava andare a ritirare i pacchi di persona. Finché un giorno ho incontrato Francesca Natali.

Che svolta! Raccontaci.

Un’amica uzbeka, che lavorava in Rinascente e sapeva della mia necessità di lavoro part-time, un giorno mi ha telefonato dicendo: “Qui al settimo piano stanno aprendo un corner del tè. Perché non ci provi?” Ho spedito al volo il mio curriculum e nel giro di mezz’ora è arrivata la risposta di Francesca: “Vediamoci domani”. Il giorno dopo, 40 minuti di colloquio in cui ha parlato solo lei, alla fine dicendomi: “Mi piace il tuo sorriso, sei assunta”. Non ha voluto chiedermi nulla!

Cosa ti hanno dato gli anni trascorsi in Arte del Ricevere?

È stata un’esperienza che mi ha cambiata tanto, rovesciando il mio approccio al tè. In 25 anni della mia vita nessuno mi aveva mai chiesto perché bere il tè, si beveva e basta. Il tè mi è stato trasmesso con il latte materno. Non è una metafora: le donne uzbeke in gravidanza bevono tè senza problemi, per loro le controindicazioni non esistono!

In Uzbekistan, è sempre l’ora del tè.

All’inizio della mia carriera in Arte del Ricevere, alla domanda “Come si prepara una tazza di tè” rispondevo: “Beh, è semplice. Butti una manciata di foglie dentro la teiera e ci versi dell’acqua calda”. I clienti mi guardavano perplessi.

Pian piano ho capito che dietro c’era un mondo e che avevo tantissimo da imparare: non esisteva solo il tè verde, non esisteva un solo modo per fare il tè. Ho scoperto un mondo pieno di tradizioni e cerimonie, con regole ben precise per ciascuna di esse. Ho cominciato a studiare come si beveva il tè in diversi Paesi, come si preparava la bevanda secondo il metodo occidentale e quello orientale. Poi è partito l’embolo: volevo approfondire ogni tema, andare a fondo di ogni argomento. Arte del Ricevere mi ha dato spazio per crescere.

Dammann Frères

Dopo hai fatto esperienze anche in altre case di tè.

Sì, il tè mi ha portato fortuna. Grazie a Francesca, grazie all’esperienza in Arte del Ricevere, grazie a tutte le domande dei clienti, ho potuto approfondire tanti temi. E dopo aver cambiato tre brand – Arte del Ricevere, Kusmi, Lov Organic – oggi gestisco il marchio Dammann Frères.

Di cosa ti occupi?

Dammann è tra quelle esperienze per le quali provo molta gratitudine. I 4 anni passati in questa azienda mi hanno fatto crescere tantissimo. Qui hai carta bianca, puoi fare realmente uso delle tue potenzialità. Oggi mi occupo di retail management. oltre alla boutique di Dammann Frères in Piazza Venticinque Aprile, seguo il negozio Domori a Arese e la gelateria Gelato Libre in Via Carducci a Milano.

Gelato Libre, gelateria ideata da Domori.

Grazie a Dammann, ho potuto vivere il tè anche fuori dal contesto del negozio, facendo formazione allo staff degli hotel di lusso, raccontandogli i trend del mercato e spiegando le tecniche di preparazione della bevanda.

Nodira
Nodira Narimova - Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog

Segui le regole anche quando fai il tè a casa?

Macché… Quando torno stanca, le temperature e i minuti sono l’ultimo dei miei pensieri – acqua bollente e via!

La tua mamma spedisce ancora il Gunpowder dall’Uzbekistan?

No, ora sono io quella che manda il tè, centinaia di assaggi di tutti i tipi. Ma nulla da fare: l’acqua di Samarcanda, dal sapore salato, certi tè li “uccide”, soprattutto gli aromatizzati. Il Gunpowder è l’unico che regge. In Uzbekistan lo trovi davvero eccellente, foglie arrotolate in palline super compatte, colore verde smeraldo scuro quasi nero. Si vende sfuso al mercato.

Il rito del tè uzbeko

Oltre al Gunpowder, che tè si beve in Uzbekistan?

Beviamo soprattutto il tè verde, qualche volta anche il Tie Kuan Yin ma poco ossidato, perché nove mesi su dodici fa molto caldo. Le temperature cominciano ad alzarsi a fine marzo e si mantengono elevate (50 °C) fino alla fine di ottobre o addirittura fino a metà novembre. Subito dopo calano bruscamente e arriva il freddo, a volte fino a -30 °C. Questo perché non abbiamo montagne verso l’Altaj che potrebbero bloccare i gelidi venti siberiani. In più, la maggior parte dell’Uzbekistan è steppa, ovvero un deserto chiamato Kyzylkum (letteralmente “sabbia rossa”). Più avanti, in Turkmenistan, si estende il deserto di Karakum, ovvero “sabbia nera”. Non avendo alcuna protezione da nessuna parte, quando tira il vento dalla Siberia si gela tutto. D’estate, al contrario, fa tanto caldo, ma è un caldo secco, molto meglio dell’afa milanese.

Come si svolge il rito del tè uzbeko?

È una cerimonia molto semplice. Non si usano tazze ma piala, tazzine senza manico, un po’ più grandi rispetto a quelle del gong fu cha. La teiera dev’essere capiente perché si beve tanto tè. Mentre nella tradizione gong fu cha si fa uso di teiere e tazzine piccole, il rito uzbeko preferisce teiere da 1 litro e piala da circa 100 ml. Le teiere sono senza filtro – le foglie di tè non vengono separate.

Come si prepara il tè? Metti una manciata di foglie in fondo della teiera e versi dell’acqua bollente. Eh sì, anche se si tratta del tè verde, utilizziamo sempre e solo acqua bollente. Per ottenere un’infusione omogenea devi fare tre giri: poni la teiera sul tavolo e cominci a versare il tè nelle piala. Subito dopo riversi l’infuso nella teiera. Ripeti per altre due volte. Occhio a non rovesciare nemmeno una goccia – è considerato un lavoro malfatto. Al terzo giro versi il tè guardando negli occhi gli ospiti o il padrone di casa. Il tè è servito con tanto rispetto.

Perché i giri sono tre? È un modo per creare un’infusione omogenea. Visto che le foglie rimangono sempre sul fondo, devi farle girare.

Nodira

Chi serve il tè?

Di solito lo fa il più piccolo di casa, oppure una donna. Solo quando ci sono ospiti importanti il tè è servito dal padrone, per mostrare più rispetto. A casa l’ho sempre fatto io, in quanto femmina e la più piccola tra i fratelli. Porgevo la prima tazza al papà, poi agli altri. La piala si serve con due mani. Ti stai scottando le dita? Non importa, il tè va servito come si deve.

Al matrimonio il tè è servito dalla sposa. È proprio questo il suo compito: preparare il tè e servirlo.

A che età sei stata iniziata al rito del tè?

Intorno ai 7-8 anni. Versavo l’acqua bollente sopra le foglie, portavo la teiera al tavolo e servivo il tè. A mio padre piaceva un sacco essere servito da me, anch’io ne ero entusiasta – mi chiamava la sua “piccola casalinga”, solo che poi casalinga non la sono più diventata…

Maneggiare teiere di acqua bollente all’età di 7 anni, questo sì che è girl power!

Sì, teiere da 1 o 2 litri. Tutte in porcellana. Il servizio tipico uzbeco è di color blu con sopra disegnati fiori di cottone contornati da fili d’oro per valorizzarlo ancora di più. La ceramica uzbeka proviene da due zone, Rishton è la più rinomata. Gli artigiani di questa zona producono ceramiche di colori blu, azzurro, verde, bianco, tinte tipiche orientali. Fanno disegni pazzeschi! La loro ceramica è rara, bella, accogliente.

Ceramica Rishtan - Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione Tea Blog
Un piattino porta foglie di tè in ceramica Rishton.

LEGGI ANCHE → Rishton: la bellezza storica delle ceramiche uzbeke

Raccontaci delle chaikhona, le stanze da tè uzbeke.

Sono delle vere e proprie tea house. Peccato che siano concepite pensando più agli uomini che alle donne: posizionate per strada, all’aperto perché il tè in Uzbekistan si beve sempre fuori. Si fa di tutto per poterlo fare in relax, ecco perché abbiamo inventato i letti, anzi i lettoni da tè!

Una stanza del tè chaikhona.

Il mio sogno è avere una chaikhona. Tavolini bassi e lettoni in legno dove trascorrere l’intera giornata. Un menu ricco di abbinamenti con i piatti uzbeki. Tè bollente (con fuori 50 °C), un libro e, in sottofondo, una radio che trasmette le canzoni anni ‘50.

Nodira
Un turista in una chaikhona.

Tè bollente sotto il sole a 50 gradi?!

Esatto. D’estate si beve il tè bollente. Anche durante il Ramadan: alle 5 del mattino, prima di “chiudere la bocca”, ne bevi un litro così non hai sete per il resto della giornata.

Tea time a Bukhara.

Hai mai pensato di portare la tua cultura nel tuo lavoro?

Ho un piccolo sogno nel cassetto, quello di far conoscere la cultura uzbeka all’estero. Abbiamo davvero tante cose! Cotone, seta, la ceramica Rishtan, ma anche i meravigliosi tappeti in seta di Bukhara – sono i migliori al mondo.

Quando sei in visita a Samarcanda o Bukhara, hai la sensazione di essere entrata in una fiaba orientale, come in quelle de Le mille e una notte. Poi vivendoci ti ci abitui.

Nodira

I tuoi tè preferiti?

I miei gusti cambiano ma in questo periodo non possono mancare:

  • Oriental Beauty di Dammann.
  • Sencha Tenso per la mattina
  • tè bianco Yin Zhen o Himalyan Shangrila
  • Sheng Puerh, adoro le note vegetali che rinfrescano il palato.

Non amo particolarmente i tè neri, eccetto Darjeeling.

Le concubine del Signor Tè

Il tuo consiglio a un aspirante tea connoisseur?

Restare umile. Il lavoro nelle vendite mi ha portata a conoscere diverse persone, alcune sono convinte di sapere tutto… Ma diventare esperti di tè è difficile. Chi ha raggiunto questo traguardo spesso è già in pensione e magari ha trascorso l’intera vita nelle piantagioni – eppure non se la sente di sventolare la bandiera dell’esperto.

D’altronde, vedo tanti ragazzi ad appassionarsi di questo mondo. Spesso la loro curiosità scaturisce dagli studi di culture orientali all’università. Gli auguro di continuare a studiare!

Siamo tutti allievi. O come dico spesso alle colleghe di Dammann: siamo le concubine del signor Tè. Siamo al suo servizio.

Nodira

È un mondo meraviglioso, fatto di riti e regole ma anche di tanto rispetto nei confronti della natura. Il tè unisce, fa sorridere la gente, ci fa stare bene.

Le concubine del tè?

Ho coniato questo termine rileggendo Le mille e una notte che ha molti legami con Baghdad, ma anche con Samarcanda. Concubine, perché non siamo venditrici di un prodotto qualsiasi. Prima di tutto raccontiamo la storia del tè. Ed è proprio il racconto quello che ci permette di incantare il cliente e convincerlo all’acquisto. È importante fargli vivere l’esperienza del tè, oltre che garantirne la qualità. Ecco perché raccontiamo da dove arriva, come viene profumato, come si beve, con cosa si abbina. Tessiamo una storia.

Chi sono i tuoi maestri o modelli d’ispirazione?

Non ho maestri ma ci sono tante persone che mi ispirano. Soprattutto quelle che amano libertà – come Jeff Fuchs – la libertà di viaggiare, imparare cose nuove e condividere l’esperienza con altri. La condivisione è importante.

Qual è il tuo rito preferito: Cha No Yu o Gong Fu Cha?

Mi affascinano entrambi e c’è una filosofia immensa dietro a ognuno. Ho un sogno: voglio dedicarmi a studi approfonditi per imparare ogni minimo gesto, sguardo, tecnica di preparazione.

Stai finendo il corso di TAC Tea Sommelier della Protea Academy. Cosa ti ha dato?

Questo corso mi ha permesso di colmare qualche lacuna nella mia conoscenza del mondo tè e assimilare la terminologia che lo accompagna. Spesso, quando dici “tea sommelier”, gli interlocutori spalancano gli occhi. Invece è normale parlare del liquore del tè, cioè l’infuso ottenuto separando le foglie dal liquido. È un liquore vero e proprio, con tutte le sue caratteristiche. Ma quello di TAC Tea Sommelier non è stato solo un corso di formazione per ottenere un certificato. Era diventato per me anche un luogo dove apprendere da altre persone.

Una nota a parte merita il blind testing, degustazione alla cieca. Non amando in modo particolare i tè neri, nel blind testing li sbagliavo tutti… Da questo mio errore traggo un consiglio per altri appassionati: il palato e la memoria si allenano solo assaggiando il tè!

Un augurio ai nostri lettori?

Quello che ripeto alle mie colleghe: non fermatevi mai in ciò che avete iniziato. Portatelo a termine, in ogni situazione. Cercate di imparare cose nuove. Bevete almeno una tazza di tè al giorno.

Un consiglio per le mamme: anche se avete tre figli piccoli e la casa è tutta sottosopra, concedetevi un quarto d’ora di pausa: chiudetevi in cucina e fatevi una tazza di tè. Vi aiuterà a staccare la spina dal caos quotidiano. Il solo fatto di dover scaldare acqua, misurare le foglie, contare i tempi di infusione è un ottimo modo per rilassarvi e riorganizzare le idee. Bevete tè.

Nodira

Grazie di Nodi!


Alcuni link utili tratti dall’intervista

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