There is a crack in everything… persino nella Red Zone
Un sabato mattina di fine novembre decido che basta, tra me e la Zona Rossa è finita: me ne vado*. E allora cappotto, cappello, guanti, e una valigetta con dentro l’essenziale: un barattolino con foglie di tè, un thermos con dell’acqua calda, e qualche tazzina. Niente biglietti di addio, solo questi versi di Leonard Cohen tratti dal suo Anthem, che trascrivo sul retro di una vecchia autocertificazione stropicciata, ripescata dalla tasca del vestito:
there is a crack, a crack in everything,
that's how the light gets in
Una decina di minuti di camminata ed eccomi davanti al cancello del Central Park che, alle 8 del mattino, mi accoglie con una mise en place impeccabile: l’aria cristallina e trasparente, sa quasi d’inverno, il rumore delle foglie secche ai miei piedi, il ridacchiare delle anatre nel laghetto, e i primi raggi di sole – non troppi, giusto per accendere il verde del muschio che ricopre un grande tavolo di legno. Un tavolo tutto per me, per Cohen, e per tutti i miei Mad Hatters immaginari.
Let the tea time begin.
* True story. Come sono true tutte le storie che ci inventiamo per rendere la Storia un po’ meno f***. Questa, si è ispirata al profumo – e al nome! – del tè Noël à Manhattan di Dammann Frères.
“the birds they sang
at the break of day“


“start again
I heard them say“
“don’t dwell on what
has passed away“

“or what is yet to be”

“ring the bells that still can ring
forget your perfect offering
there is a crack, a crack in everything
that’s how the light gets in”

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