Le leggende cinesi del tè

Le leggende cinesi sul tè. Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog

Pubblicato originariamente su Fogli di tè (n. 6, maggio 2021)

Raccontare per incantare, raccontare per ingannare. Oggi, anche per vendere


Tè verde cinese Long Jing, protagonista delle leggende cinesi sul tè. Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog
foglie del tè verde cinese long jing

Leggete le quattro storie e provate a indovinare di quali tè si parla

Narra la leggenda che in un giardino del tè situato su un versante del Huangshan, due giovani contadini si innamorarono perdutamente. Ma il padrone della piantagione, invaghito anche lui della bella fanciulla, un giorno uccise il ragazzo. Quando la sua amata lo ritrovò morto, scoppiò in un pianto ininterrotto. Pianse fino a quando si trasformò in pioggia, fondendosi così con la terra insieme al corpo del ragazzo. Da questa fusione nacque una pianta di tè.

Un’altra leggenda racconta di un giovane imperatore. Durante un viaggio in terre lontane vide fanciulle, che raccoglievano i germogli di tè. Incantato dall’eleganza dei loro gesti, si unì alle raccoglitrici: strappava le foglioline e le infilava nella manica della sua veste. All’improvviso fu richiamato a casa: la madre regina si era ammalata. L’imperatore partì, in grande fretta e dimenticatosi dei germogli nella manica. La regina, non appena vide il figlio, sentì una fragranza meravigliosa e chiese che cosa era quel profumo. Il giovane tirò fuori le foglioline, ormai appiattite, e ne preparò un infuso che fece subito guarire la madre. Come gesto di gratitudine, l’imperatore ribattezzò gli alberi del benefico tè con il nome di “tè imperiale”.

In un’altra leggenda ancora, una fanciulla stava raccogliendo il tè. Riempito il cesto, la ragazza non si fermò: voleva portare a casa un altro po’ di germogli. Gliene servivano centinaia se non migliaia, per poter produrre una libbra di tè. Nascose quel “extra” sotto il suo corpetto. Le tenere foglie, a contatto con il calore del suo corpo, sprigionarono una fragranza straordinaria, che inebriò l’aria[1].

Infine, la quarta leggenda narra di un ufficiale che un giorno ricevette da un amico che viveva in un Paese lontano un delizioso tè profumato. Si innamorò del suo sapore al punto di volerlo bere ogni giorno e, una volta esaurite le scorte, commissionò ad una casa di tè locale di creare una miscela identica all’originale.

Siete riusciti a indovinare i tè? Ecco le risposte giuste: Huang Shan Mao Feng (“Punte lanuginose delle Montagne Gialle”), Xi Hu Long Jing (“Pozzo del drago del West Lake”), Dong Ting Bi Luo Chun (“Chiocciola verde di primavera dell’isola di Dong Ting”) e Earl Grey (“Il Conte Grey”). I primi tre sono tè verdi cinesi e fanno parte della prestigiosa Top Ten della Cina[2]. Il quarto appartiene alla tradizione europea ed è una miscela di tè neri cinesi e indiani profumati al bergamotto.

All’imperatore le foglie, alla madre Natura le leggende

Questo breve confronto tra le due tradizioni narrative, orientale ed europea, fa emergere un particolare curioso: i tè cinesi non prendono mai il nome da persone. Niente imperatori, eppure spesso erano proprio loro a occuparsi del naming; ok invece alle scimmie (Tai Ping Hou Kui, “Scimmia Re di Tai Ping”), alle lumache (Dong Ting Bi Luo Chun), ai semi di melone (Lu An Gua Pian, “Semi di melone di Lu An”), alle montagne (Huang Shan Mao Feng), alla nebbia e alle nuvole (Lu Shan Yun Wu, “Nubi e nebbia del Monte Lu”).

Tè bianco Yunnan, Eastern Leaves, leggendo le storie cinesi sul t. Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog

Ma è possibile che in 5000 anni di storia la leggendaria bevanda cinese non abbia mai avuto un suo Earl Grey, insomma, qualcuno audace o eccentrico abbastanza per dare il proprio nome a un tè[3]? Secondo l’esperta di tè Winnie Yu[4], per comprendere l’approccio cinese bisogna partire dalle basi, ovvero dall’ideogramma, 茶. La parte superiore, chao, indica che il tè è una pianta. La parte media si legge ren, “uomo”, mentre quella inferiore è mu, “albero”. Il tè dunque è un prodotto della natura che l’uomo ha nutrito e solo lui è capace di apprezzarne il vero valore. Ma l’importanza dell’uomo non è assoluta, anzi: si riattiva solo in relazione tra il “sopra” e il “sotto”. Avete presente gli antichi dipinti cinesi di paesaggi, che raffigurano l’uomo come un minuscolo essere di fronte alla maestosità delle montagne, le cui cime si perdono fra le nubi? Ecco, quell’omino è il ren dell’ideogramma.

Raccontare per incantare

Molte leggende cinesi del tè, come ad esempio quella di Tai Ping Hou Kui, hanno più versioni, che spesso si intrecciano, si sovrappongono e si confondono tra di loro. Ma dietro l’apparente groviglio di scimmie, rocce, alberi antichi, mantelli rossi, imperatori, belle fanciulle, nebbie e nubi si nasconde uno schema unico e semplice, anzi semplicissimo, che è, appunto, bere tè e raccontare storie, sostiene lo storico e scrittore britannico Jason Goodwin, che dice: “Potevo capire perché i cinesi, che non credono in Dio, trovavano piacere nel loro tè[5].

Foglia di tè oolong. Tè oolong è spesso prot. Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog
foglia di oolong dopo la prima infusione

La maestria dello storytelling non è però un’esclusiva cinese: gli occidentali accompagnano il loro teatime con altrettanta immaginazione. Come, ad esempio, Honoré de Balzac, caffeinomane incallito e tealover appassionato, che amava intrattenere gli ospiti all’ora del tè con storie degne della fantasia di Tarantino (secondo quanto racconta il suo amico e biografo Léon Gozlan):

Fine come il tabacco del Ladakh, giallo come l’oro veneziano, questo tè corrispondeva senza dubbio alle lodi con cui Balzac lo profumava prima di lasciartelo gustare; per goderti il ​​diritto di degustazione, però, dovevi superare una sorta di iniziazione. Non lo offriva ai profani; e anche noi lo bevevamo di rado. Solo nei giorni di festa, tirava fuori la scatola di kamchatka in cui, come una reliquia, era racchiuso il tè e lentamente lo scartava dalla busta di carta di seta ricoperta di caratteri geroglifici.

Dopodiché, iniziava a raccontare, con un piacere sempre nuovo per lui e per noi, la storia di questo famoso tè d’oro. Il sole, diceva Balzac, lo maturava solo per l’imperatore della Cina; i Mandarini di primo rango avevano, come privilegio di nascita, il compito di annaffiarlo e curarlo. Veniva raccolto prima dell’alba da vergini, che lo portavano, cantando, ai piedi dell’Imperatore. La Cina non produceva questo incantevole tè se non in una sola provincia, e questa sacra provincia non ne forniva che poche libbre, riservate a S. M. Imperiale e al figlio maggiore della sua augusta casa. Per concessione specialissima, l’Imperatore della Cina aveva inviato alcuni pacchetti con le carovane allo Zar di Russia. Fu per mezzo di un ministro di questo Sovrano e di un ambasciatore amico che il tè incantato giunse al letterato, il quale ora, a sua volta, lo stava offrendo a noi.

Il tè d’oro che Balzac ricevette da M. de Humboldt era cosparso di sangue umano. I Kirghisi e i tartari Nogais avevano attaccato la carovana russa e solo dopo un lungo e sanguinoso combattimento la spedizione era giunta a destinazione, Mosca. Insomma, era una specie di tè degli Argonauti. La storia della spedizione, che qui ho molto accorciato, non è finita lì: vanno aggiunte le proprietà stupefacenti: troppo stupefacenti! A prendere questo tè dorato tre volte, ammoniva Balzac, si diventava orbi; e sei volte si diventava ciechi[6].

Léon Gozlan (1865), Balzac en pantoufles Vol 2.

Raccontare per ingannare

Verso la metà dell’Ottocento, a cavallo tra le due Guerre dell’oppio, la Compagnia delle Indie Orientali mandò Robert Fortune come spia in Cina. Travestito da mandarino, il botanico scozzese fu incaricato di rubare niente meno che i semi del tè più pregiato e carpire i segreti di produzione. Già che c’era, decise di raccogliere anche qualche leggenda sul tè[7]. E se per ottenere i semi e i segreti Fortune dovette correre rischi mortali, i miti sul tè piovevano gratis: Il tè migliore? Ah, è quello raccolto dalle scimmie. In che modo esattamente lo raccolgono? Beh, è semplice: noi prendiamo sassi e li lanciamo alle scimmie sugli alberi di tè: quelle, furibonde, strappano a manciate le foglie e ce le lanciano indietro… Raccontare per confondere era una delle armi che la Cina usava per proteggere i suoi segreti più preziosi. Che poi, ammettiamolo, l’arma ha funzionato: basta pensare agli inglesi, che per tanto, tantissimo tempo erano convinti che il tè verde e il tè nero provenissero da due piante differenti[8]… E il “Monkey picked”? Anche a voi capita di crederci un pochino ancor oggi[9]? 😉

Tè oolong, Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog
tè oolong ad alta ossidazione

Raccontare per… vendere

Come se la passano oggi le antiche leggende cinesi? Digitando su Google “Chinese tea legend” compaiono circa 47 000 000 risultati in 0,43 secondi. Bene, possiamo tirare un sospiro di sollievo, le leggende del tè non rischiano l’estinzione – tutt’altro. Sono vive, vegete e… addirittura aiutano il fatturato. In che modo? Ce lo svela Michael Harney: “Un tea broker taiwanese mi confessò una volta, ‘Se vuoi mantenere il cliente al bancone, la leggenda funziona molto meglio dei fatti secchi. Si presta meglio alle chiacchiere’.[10] E in effetti è vero. Chiedete a chiunque abbia avuto esperienza nella vendita delle foglie pregiate: si incassa di più raccontando delle scimmie dai mantelli rossi che inviando le newsletter con le promozioni del “Black Friday”. Perché? Pare che dipenda dal modo in cui funziona il nostro cervello: preferisce seguire la trama di una storia piuttosto che le leggi della logica[11]. “Gratta la superficie in una tipica sala riunioni e scopri che siamo solo dei cavernicoli con valigette, affamati di una persona saggia che ci racconti storie”, dice Alan Kay, uno dei padri dell’informatica[12]. Importa poco se queste storie siano inventate o meno. Un vero tea lover, che sia una spia dell’Ottocento o un Gen Z, non rinuncerà mai a una storia o una leggenda da accompagnare al suo amato infuso!

Waikato, tè oolong della Nuova Zelanda. Foto di Jurga Po Alessi | Prima Infusione tea blog
tea time leggendo ‘sapiens’ di yuval harari

[1] Katrina Avila Munichiello (2011). A Tea Reader: Living Life One Cup at a Time, Tuttle Publishing.

[2] Detti China’s Ten Most Famous Teas. Nella classifica riportata nel libro di Tony Gebely (2016), Tea: A User’s Guide, 6 sui 10 sono tè verdi: Xi Hu Long Jing, Dong Ting Bi Luo Chun, Huang Shan Mao Feng, Lu An Gua Pian, Tai Ping Hou Kui e Xin Yang Mao Jian.

[3] A dir la verità, un mezzo tentativo c’è stato, ma si trattava per lo più di un gesto politicamente corretto. Durante il governo Mao, un albero di tè Dan Cong, tra i più rari e antichi, è stato ribattezzato in Dong Fang Hong (“Oriente rosso”) perché si è scoperto che il wulong da esso prodotto era il preferito del Presidente. Dopo la morte di Mao la pianta ha ripreso il nome originale, Song Zhong (“Cultivar dei Song”), che fa riferimento anche alla sua veneranda età di 1000 anni.

[4] Winnie Yu (2009), The Name Game, Kyoto Journal No. 71.

[5] Jason Goodwin (2009), A Time for Tea: Travels in China and India in Search of Tea.

[6] Léon Gozlan (1865), Balzac en pantoufles Vol 2.

[7] Sarah Rose (2013), For All the Tea in China: How England Stole the World’s Favorite Drink and Changed History.

[8] Michael Harney (2008), The Harney & Sons Guide to Tea.

[9] Il termine, in realtà, indica un raccolto di eccellente qualità proveniente da alberi antichi, che crescono su montagne difficilmente raggiungibili dall’uomo.

[10] Michael Harney (2008), The Harney & Sons Guide to Tea.

[11] Daniel Pink (2006), A Whole New Mind: Why Right-Brainers Will Rule the Future.

[12] Idem.

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